Metà vodka e metà succo di pomodoro con una aggiunta di spezie, in un attimo il Bloody Mary è servito.
Un cocktail corposo, da mangiare oltre che da bere. Spesso consigliato per curare l’hangover.
A contendere la paternità della ricetta c’è il barman francese del New York Bar, Fernand Petiot. Il locale parigino, che negli anni Venti, era noto come Harry’s Bar e l’attore George Jessel che secondo alcune fonti ideò la combinazione magica in vacanza a Palm Beach nel 1939.
Il nome sarebbe un omaggio ai primi clienti che ebbero l’onore di assaggiarlo: i due arrivavano da Chicago dove esisteva un locale, il Bloody Bucket in cui prestava servizio una cameriera Mary, da tutti ribattezzata Bloody Mary.
Per altri invece il colore rosso sarebbe un chiaro riferimento alla leggendaria Regina d’Inghilterra Maria Tudor I, che, per ristabilire il cattolicesimo nel Regno Unito, fece scorrere sangue a fiumi condannando a morte gli oppositori protestanti. Da qui il nome di Maria la sanguinaria.
La versione della storia più “horror” ci riporta alla tragica fine di una ragazza di nome Mary. Pare che che Mary fu sepolta viva per errore e che prima di morire avrebbe lanciato una maledizione. Chi avesse pronunciato per 3 volte il suo nome di fronte ad uno specchio illuminato da una luce di candela, avrebbe visto riflessa l’immagine di una strega coperta di sangue.
Al di là delle sue incerte origini, il Bloody Mary è senza dubbio un cocktail iconico entrato di diritto nella cultura Pop e nell’immaginario di molte generazioni.
La sua fama internazionale lo ha visto anche apparire sul grande schermo. Tanti i protagonisti di film (I Tenenbaum, Il diario di Bridget Jones, Johnny English) e telefilm (I Jefferson, Ugly Betty) che hanno una vera e propria passione per il drink. È citato anche nella canzone Romantico a Milano dei Baustelle.